Sandro Antonini
Brigata Coduri
Collana: Biblioteca del Grifo
Formato: 15x21 cm
Pagine: 352
Prezzo: € 20
Isbn: 978-88-95952-70-3
Sandro Antonini
Pescatori e naviganti
Sandro Antonini
Generali e burocrati nazisti in Italia: 1943-1945
Sandro Antonini
La Banda Spiotta e la brigata nera genovese Silvio Parodi
Sandro Antonini
Brigata Coduri
Sandro Antonini
Guerra civile
Sandro Antonini
Io, Bisagno...
Sandro Antonini
Tigullio giorno e notte
Sandro Antonini, Barbara Bernabò
I Magnifici a Sestri Levante
Mauro Baldassarri
Monumenti di carta
Mario Bertelloni
Avansé
Francesco Baratta, Giuseppe Boccoleri
L'insediamento di un'industria
siderurgica nel levante ligure
agli inizi del novecento
Mario Bertelloni
Penna e passione
Giordano Bruschi
Quelli dei comitati
Alberto Bruzzone
New York tales
Vittorio Civitella, Elvira Landò Gazzolo
Madri di guerra. Lettere a Natalia
Carlo Doria
Uons apòn etàim
Marco Fantasia
Una storia sorridente
Daniela Lavagnino
Craviasco
Dario G. Martini
Genovesi malelingue
Giulia Oneto
Leivi ieri
Marco Papagalli
Carmen e Attilio
Marco Porcella
La fatica e la Merica
Pier Sambuceti
Ribelli
Giuseppino Stevané, Sandro Antonini
I padroni del vapore
Giuseppe Valle, Giorgio Viarengo
Parroci e Resistenza nel Tigullio
Giorgio Getto Viarengo
Il processo Spiotta
Giorgio Getto Viarengo
Ottobre 1922
Giorgio Getto Viarengo
Strade di Chiavari
Giorgio Getto Viarengo
Chiavari
Giorgio Getto Viarengo
Il naufragio del Sirio
Giorgio Getto Viarengo
Il ramarro e la sua coda
Luigi Vinelli
Benedetto XV costruttore di pace
Luigi Vinelli
Fortunato Vinelli
Luigi Vinelli
Portofino
Mauro Viviani
La Croce Rossa Italiana a Chiavari
Albino e Gianandrea Zanone
Luci e ombre a Sopralacroce
Sandro Antonini
Brigata Coduri
La storia - Le voci
Come si è davvero formata, e quando, la brigata partigiana Coduri? Quanti gli uomini che la componevano? Come venne caratterizzandosi, dove? Quali, e quanti, i nemici affrontati in uno dei periodi più tragici della storia postunitaria? Ebbe delle crisi interne, degli aggiustamenti, degli sbandamenti che ne misero in forse la coesione raggiunta? Come si comportò il suo ormai leggendario comandante Virgola, già operaio dei Cantieri del Tirreno di Riva Trigoso ed ex combattente nella guerra di Mussolini?
Questo libro, tra l’altro, prova a rispondere agli interrogativi riprodotti e a moltissimi altri utilizzando, in larghissima parte, fonti partigiane, che hanno il pregio dell’immediatezza e della verità. Perché sulla brigata, sugli uomini, sulle azioni compiute ben poco senso avrebbero retorica e paludamenti ideologici – come troppo spesso, negli anni, si è verificato – se non quello di modificare e aggiustare i fatti accaduti, che non ne hanno invece alcun bisogno. Perché è la Resistenza nel suo complesso a non averne bisogno mentre, al contrario, ha ancora in parte bisogno di essere storicizzata.
La Coduri, in ciò, non fa eccezione. In sintesi, dal paradigma dei gesti, dei sentimenti e degli stati d’animo non erano immuni i partigiani che le diedero vita. Capaci di combattere e di rischiare e di maturare diversi gradi consapevolezza. Capaci di costruire qualcosa di assolutamente irripetibile, una macchina complessa e duttile che inventava regole, affinandole e codificandole. Che si oppose a fascisti e tedeschi e i cui ingranaggi non possedevano tutti lo stesso grado di preparazione. Specie durante gli ultimissimi mesi, quando gli arrivi divennero massicci e si assisté al fenomeno, denunciato dagli stessi responsabili, del cosiddetto «partigianato della venticinquesima ora».
Neppure una brigata particolare come la Coduri seppe sottrarsi al flusso di reclute dall’esperienza approssimativa o inesistente e dai principi oscillanti. Anzi, i nuovi partigiani furono accettati minimizzandone il passato, perché ciò che davvero importava era chiudere con una guerra sanguinosa e terribile dispensatrice di lutti e rovine in misura crescente. Il libro comprende tutto questo; ma anche la spiegazione di fatti rimasti oscuri o resi in modo insufficiente, grazie a un minuzioso vaglio delle fonti. In sostanza, per la prima volta, una storia della brigata a tutto campo così come mai finora è stata scritta.
Una precisazione da Sandro Antonini
Egregio Editore,
nel febbraio 2017 ho pubblicato "Io, Bisagno... Il partigiano Aldo Gastaldi", che racconta, naturalmente con tutte le fonti a supporto, la vita e gli ultimi momenti del comandante partigiano. Il testo è basato su una quantità di fonti spesso inedite: do-cumentazione d'archivio e testimonianze orali. Si evince, anche grazie all'ausilio (ma non solo) di un'intervista finale con un partigiano che conosceva Bisagno, che le cause della sua morte siano state accidentali. Ho letto il libro di Pansa uscito da po-chissimo e dal titolo "Uccidete il comandante bianco"; e lui conosce il mio. Anzi l'anno scorso, dopo esserselo fatto spedire e averlo letto, mi ha lungamente telefo-nato complimentandosi e chiedendomi varie spiegazioni, senza però accennarmi al fatto che stava anche lui scrivendo un libro su Bisagno. Sorvolo sul contenuto, ma vorrei soltanto che avesse citato le fonti da cui ha raccolto le notizie necessarie a scrivere, appunto, "Uccidete il comandante bianco". E tuttavia aggiungerò un paio di rilievi, scaturiti dall'intervista a Pansa apparsa il 20 febbraio sul Corriere della Sera.
1) Egli sostiene che Bisagno fosse l'unico comandante non comunista della III divisione garibaldina Cichero. Non è vero. Per un certo periodo, quasi fino al 25 aprile, ci fu anche Antonio Zolesio (Umberto Parodi pseudonimo), a capo di una brigata Gielle inquadrata nella Cichero, poi diventata divisione. E si può continuare con Aurelio Ferrando (Scrivia pseudonimo), comandante della brigata Oreste e, dal gennaio 1945, vicecomandante della stessa III divisione Cichero;
2) Pansa avanza l'ipotesi che il comandante della Sesta Zona, Anton Ukmar Miro, possa aver avvertito Bisagno del pericolo comunista, per quanto affermi che fra i due non corresse buon sangue. Difficilissimo che ciò possa essere avvenuto. I due si guardavano con sospetto e diffidenza. C'è una lettera, firmata da Bisagno e da altri capi non comunisti che a proposito di Miro recita: "...assegnando, come al solito, i posti di comando ai più ferventi comunisti, primo fra essi Miro, che ancora, malgrado l'incapacità milita-re, continua a mantenere detta carica".
3) Indica poi in 800 i fascisti uccisi a Genova dopo il 25 aprile. A me risultano cifre assai diverse: 47 brigatisti - tra militi e ufficiali - e un centinaio, forse centoventi altri fascisti. Sempre parecchi, ma lontani da quanto riportato da Pansa. Ho desunto quei numeri dall'elenco dei caduti della Repubblica sociale e dal giornale Il Lavoro, in cui si curava una speciale rubrica, dal titolo "Uccisioni notturne", dove si elencò la quantità e spesso il nome dei fascisti morti ammazzati. Per sovrappiù il Cln genovese emanò il seguente comunicato, affisso sui muri cittadini: "Il Cln, interpretando i sentimenti dei Cln dei diversi settori e di tutta la popolazione, essendo venuto a conoscenza di atti di violenza commessi in diversi luoghi della Grande Genova a iniziativa di terroristi sconosciuti e perturbatori dell'ordine, condanna solennemente il verificarsi di tali violenze e respinge ogni serietà morale con gli autori di esse. (...) Chiunque commetta violenze, terrorismi o arbitri, anche se dovesse risultare appartenente a qualche organizzazione patriottica nella quale potrebbe essersi fraudolentemente introdotto, agisce sempre di propria iniziativa, per motivi personali e all'insaputa dei Cln, i quali, come tutori e propugnatori dell'ordine e della legalità, respingono ogni responsabilità". Si tratta di una condanna senza appello, espressa peraltro da tutte le forze politiche. Di questo tratto in un libro sulle Brigate nere appena pubblicato.
4) Pansa sostiene che Bisagno "aveva salvato 1200 uomini della divisione dai rastrellamenti invernali". La questione è piuttosto diversa. Bisagno, al culmine dei rastrellamenti, tra il 19 gennaio e il 10 febbraio 1945, non era neppure in val Trebbia. Si trovò invece presso la brigata Coduri, ultima a est dello schieramento e nel comune di Varese Ligure, in compagnia di Giambattista Canepa (Marzo pseudonimo), per dirimere alcune questioni. Qui, dopo essere stato avvertito da una staffetta dell'arrivo del nemico, con una marcia forzata e dopo aver concesso ai 650 partigiani della brigata una licenza di 45 giorni, evitò lo schieramento avversario invitando chi avesse voluto a seguirlo. Lo fecero in circa 200, rifugiandosi a Sopralacroce. Gli altri si nascosero o tornarono a casa. Più di trenta furono catturati e qualcuno si presentò spontaneamente al comando Brigata nera di Chiavari. Lui, nel dirigersi verso la val Trebbia, cadde e si ferì a una gamba, rimanendo immobilizzato a letto per oltre venti giorni.
5) Pansa avanza l'ipotesi che Bisagno fosse avvelenato o drogato, prima di morire. La tesi fu già sostenuta a suo tempo da Elvezio Massai (Santo pseudonimo), capo del distaccamento Alpino e amico di Bisagno. Il quale sostenne pure, sulla Gazzetta del Lunedì di allora, che Leone Grumberg (Dolo pseudonimo), dirigente dell'Ufficio sanitario della divisione Cichero, avesse praticato iniezioni sul cadavere del capo partigiano per far scomparire le tracce delle sostanze letali. Grumberg pretese, e ottenne, pena il ricorso alla magistratura, una pubblica ritrattazione. Ciò si può ancora leggere dagli scritti del medico depositati presso la Società Economica di Chiavari, nelle Carte Canepa Marzo - l'ombra di Bisagno.
Il resto della sua intervista attiene a considerazioni soggettive di tipo politico, non su fatti. Su due questioni però Pansa ha ragione. Che Bisagno, senza alcun dubbio, sia stato un eroe; e che, almeno in parte, la storia della Resistenza vada riscritta, perché da troppo tempo statica e consegnata alla memoria. Tenendo presente che non è stata un mito né una falsificazione; e di questo non è giusto incolpare unicamente i comunisti, che se talvolta hanno agito per interesse di partito hanno pagato un debito di sangue altissimo, come nessun'altra forza antifascista presente allora. Il mio libro su Bisagno va appunto nella direzione di una nuova rilettura, nell'interesse - naturalmente oggettivo - della storia. Come molti altri di diversi autori apparsi negli ultimi anni. Una piccola, breve aggiunta. Bisagno sostenne, e non una volta sola, davanti ai suoi partigiani, che terminata la guerra non gli sarebbe mai interessata una carriera politica e che non avrebbe preteso favori da nessuno. Si sarebbe ritirato in buon ordine e avrebbe cercato un lavoro, agendo come tutti. La politica rappresentò sempre l'ultimo dei suoi interessi. Inoltre, non ebbe agganci nel Comitato di Liberazione regionale e, pur essendo cattolico, rimase lontano anche dai democristiani, destinati a diventare la prima forza politica del Paese. Un solitario, ascetico e di rigore morale ineccepibile. Chi, e soprattutto perché, avrebbe voluto la sua morte?
Sandro Antonini
© 2018 Internos Edizioni
Sandro Antonini è uno studioso dell'età contemporanea, autore di numerose pubblicazioni in campo storico e letterario. Per l'editore Internòs ha pubblicato: Brigata Coduri, nel 2015; Giacomo Borasino: l'arte della fotografia. Parte I, ancora nel 2015; Tigullio giorno e notte, nel 2016; Io, Bisagno. Il partigiano Aldo Gastaldi, nel 2017; in collaborazione con l'ex sindacalista Giuseppino Stevanè I padroni del vapore, sempre nel 2017; e nello stesso anno Giacomo Borasino: l'arte della fotografia. Parte II; nel 2018, Guerra civile. La tragica storia della Brigata nera genovese Silvio Parodi; nel 2019, in collaborazione con Barbara Bernabò, I Magnifici a Sestri Levante. Presenze nobiliari dal XVI al XVIIII secolo: una rilettura della storia e il romanzo La luce sporca.