Introduzione (pdf)

Sandro Antonini
Io, Bisagno...

Collana: Biblioteca del Grifo
Formato: 15x21 cm
Pagine: 212
Prezzo: € 16,50
Isbn: 978-88-94851-00-7
 

Sandro Antonini
Pescatori e naviganti

Sandro Antonini
Generali e burocrati nazisti in Italia: 1943-1945

Sandro Antonini
La Banda Spiotta e la brigata nera genovese Silvio Parodi

Sandro Antonini
Brigata Coduri

Sandro Antonini
Guerra civile

Sandro Antonini
Io, Bisagno...

Sandro Antonini
Tigullio giorno e notte

Sandro Antonini, Barbara Bernabò
I Magnifici a Sestri Levante

Mauro Baldassarri
Monumenti di carta

Mario Bertelloni
Avansé

Francesco Baratta, Giuseppe Boccoleri
L'insediamento di un'industria
siderurgica nel levante ligure
agli inizi del novecento

Mario Bertelloni
Penna e passione

Giordano Bruschi
Quelli dei comitati

Alberto Bruzzone
New York tales

Vittorio Civitella, Elvira Landò Gazzolo
Madri di guerra. Lettere a Natalia

Carlo Doria
Uons apòn etàim

Marco Fantasia
Una storia sorridente

Daniela Lavagnino
Craviasco

Dario G. Martini
Genovesi malelingue

Giulia Oneto
Leivi ieri

Marco Papagalli
Carmen e Attilio

Marco Porcella
La fatica e la Merica

Pier Sambuceti
Ribelli

Giuseppino Stevané, Sandro Antonini
I padroni del vapore

Giuseppe Valle, Giorgio Viarengo
Parroci e Resistenza nel Tigullio

Giorgio Getto Viarengo
Il processo Spiotta

Giorgio Getto Viarengo
Ottobre 1922

Giorgio Getto Viarengo
Strade di Chiavari

Giorgio Getto Viarengo
Chiavari

Giorgio Getto Viarengo
Il naufragio del Sirio

Giorgio Getto Viarengo
Il ramarro e la sua coda

Luigi Vinelli
Benedetto XV costruttore di pace

Luigi Vinelli
Fortunato Vinelli

Luigi Vinelli
Portofino

Mauro Viviani
La Croce Rossa Italiana a Chiavari

Albino e Gianandrea Zanone
Luci e ombre a Sopralacroce

Sandro Antonini

Io, Bisagno...

Il partigiano Aldo Gastaldi

In questo nuovo lavoro è sviluppata la biografia di Aldo Gastaldi Bisagno, 'primo partigiano d'Italia', comandante della divisione Cichero, individuo dai principi morali ineccepibili e di profonda religiosità, inquadrata nel tempo storico in cui si svolge, cioè tra l'8 settembre 1943, giorno dell'armistizio e il 21 maggio 1945, giorno in cui, a seguito di un tragico incidente avvenuto a Desenzano sul Garda, muore.

Da partigiano, dopo una serie di travagli interiori, di riflessioni, di discussioni che cosa chiede, in sostanza? L'autonomia intellettuale degli uomini delle formazioni che guida e il loro diritto di scelta, che ribadisce per iscritto e non una volta sola. Ne è convinto e non esiterà, per questo, a mettersi in gioco ingaggiando una solitaria battaglia dagli esiti per lui alquanto incerti.

Se si immagina il contesto in cui le sue parole vengono alla luce, dopo l'oscurantismo fascista che condanna a pene severe il diritto d'opinione ascrivendolo alla categoria dei reati, e in una fase – la guerra partigiana – in cui concetti simili stentano ad emergere, perché sostituiti da altri, se ne può cogliere la straordinaria portata. Non è il solo a enunciarli, in quanto in diversi hanno provato a esprimerne di simili; è però il solo a farlo nella VI Zona, in territorio a predominio comunista.

Al tempo stesso, si batte poi contro l'istituzione dei commissari politici e contro i nuclei di partito nel momento in cui si accorge che, anziché esporre e discutere le indicazioni del Cln – in cui sono rappresentati tutti i partiti di allora: democristiani, comunisti, socialisti, azionisti, repubblicani e liberali – che prevedono, per così dire, un'educazione di tipo civico dei soggetti cui sono indirizzate diversificando le posizioni, preferiscono trattare la materia, affatto semplice, in modo univoco.

È chiaro che agire per contrastare simili procedimenti, come fa Bisagno, suscita preoccupazioni nei suoi avversari – perché di avversari, specie dal settembre 1944 in poi, si tratta – che pensano al modo di inertizzarlo e poi di sbarazzarsene una volta per tutte, ingiungendogli dapprima di andarsene a casa e poi di spostarsi nello spezzino, alla IV Zona.

Senza, tuttavia, abbandonare il conformismo di cui sono ammantati, che – è doveroso riconoscerlo - si è fra l'altro reso necessario per superare le avversità nate con l'affermazione del regime e proseguite per oltre vent'anni. Se non vi riescono è perché si frappone una serie di motivi: l'eccezionale prestigio goduto da Bisagno presso le formazioni che compongono la divisione e indipendentemente dal loro colore politico, la sua difesa con le armi in pugno e che ad un certo punto rischia di degenerare, questioni di opportunità e, al fondo, la possibilità di praticare strade diverse.

E come ha giustamente rilevato Mimmo Franzinelli, autore dell'introduzione, "il volume contiene un ampio ventaglio di testimonianze, che restituisce al lettore l'eterogeneità della visuale e la soggettività dei protagonisti della Resistenza. Le fonti orali s'intrecciano alla documentazione coeva, così efficace nel rivelare – persino nelle fonti tedesche e fasciste – spietatezza e predatorietà dell'occupazione nazista, nonché la sudditanza collaborazionistica del governo allestito dal redivivo Mussolini. In Liguria, più che altrove, la razzia di manodopera assume la forma della deportazione degli scioperanti nelle fabbriche-lager del Reich, forma allucinante di nuova schiavitù. Il lettore viene gradualmente condotto dentro le dinamiche resistenziali, finché nel quarto capitolo trova un ritratto sanguigno e documentatissimo di Bisagno, in costante interlocuzione con i suoi compagni, inclusi gli ostinati detrattori di matrice comunista. La lunga intervista al capo-staffette Rum (Bernardo Traversaro) fornisce un ritratto a tutto tondo di Bisagno, nei tratti fisiognomici come nei tipici comportamenti che lo resero una figura carismatica. Forse la specificità caratterizzante il giovane comandante partigiano è – col coraggio di esporsi personalmente sul piano operativo e militare – l'ostinazione con cui ripropone una pedagogia politica centrata sul patto ciellenista, al di fuori e contro settarismi di fazione e patriottismi di partito che nel dopoguerra svilupperanno operazioni di egemonia culturale per l'appropriazione partitica della Resistenza".

Il libro è stato composto adoperando quasi esclusivamente fonti partigiane.
 

Una precisazione da Sandro Antonini

Egregio Editore,

nel febbraio 2017 ho pubblicato "Io, Bisagno... Il partigiano Aldo Gastaldi", che racconta, naturalmente con tutte le fonti a supporto, la vita e gli ultimi momenti del comandante partigiano. Il testo è basato su una quantità di fonti spesso inedite: do-cumentazione d'archivio e testimonianze orali. Si evince, anche grazie all'ausilio (ma non solo) di un'intervista finale con un partigiano che conosceva Bisagno, che le cause della sua morte siano state accidentali. Ho letto il libro di Pansa uscito da po-chissimo e dal titolo "Uccidete il comandante bianco"; e lui conosce il mio. Anzi l'anno scorso, dopo esserselo fatto spedire e averlo letto, mi ha lungamente telefo-nato complimentandosi e chiedendomi varie spiegazioni, senza però accennarmi al fatto che stava anche lui scrivendo un libro su Bisagno. Sorvolo sul contenuto, ma vorrei soltanto che avesse citato le fonti da cui ha raccolto le notizie necessarie a scrivere, appunto, "Uccidete il comandante bianco". E tuttavia aggiungerò un paio di rilievi, scaturiti dall'intervista a Pansa apparsa il 20 febbraio sul Corriere della Sera.

1) Egli sostiene che Bisagno fosse l'unico comandante non comunista della III divisione garibaldina Cichero. Non è vero. Per un certo periodo, quasi fino al 25 aprile, ci fu anche Antonio Zolesio (Umberto Parodi pseudonimo), a capo di una brigata Gielle inquadrata nella Cichero, poi diventata divisione. E si può continuare con Aurelio Ferrando (Scrivia pseudonimo), comandante della brigata Oreste e, dal gennaio 1945, vicecomandante della stessa III divisione Cichero;

2) Pansa avanza l'ipotesi che il comandante della Sesta Zona, Anton Ukmar Miro, possa aver avvertito Bisagno del pericolo comunista, per quanto affermi che fra i due non corresse buon sangue. Difficilissimo che ciò possa essere avvenuto. I due si guardavano con sospetto e diffidenza. C'è una lettera, firmata da Bisagno e da altri capi non comunisti che a proposito di Miro recita: "...assegnando, come al solito, i posti di comando ai più ferventi comunisti, primo fra essi Miro, che ancora, malgrado l'incapacità milita-re, continua a mantenere detta carica".

3) Indica poi in 800 i fascisti uccisi a Genova dopo il 25 aprile. A me risultano cifre assai diverse: 47 brigatisti - tra militi e ufficiali - e un centinaio, forse centoventi altri fascisti. Sempre parecchi, ma lontani da quanto riportato da Pansa. Ho desunto quei numeri dall'elenco dei caduti della Repubblica sociale e dal giornale Il Lavoro, in cui si curava una speciale rubrica, dal titolo "Uccisioni notturne", dove si elencò la quantità e spesso il nome dei fascisti morti ammazzati. Per sovrappiù il Cln genovese emanò il seguente comunicato, affisso sui muri cittadini: "Il Cln, interpretando i sentimenti dei Cln dei diversi settori e di tutta la popolazione, essendo venuto a conoscenza di atti di violenza commessi in diversi luoghi della Grande Genova a iniziativa di terroristi sconosciuti e perturbatori dell'ordine, condanna solennemente il verificarsi di tali violenze e respinge ogni serietà morale con gli autori di esse. (...) Chiunque commetta violenze, terrorismi o arbitri, anche se dovesse risultare appartenente a qualche organizzazione patriottica nella quale potrebbe essersi fraudolentemente introdotto, agisce sempre di propria iniziativa, per motivi personali e all'insaputa dei Cln, i quali, come tutori e propugnatori dell'ordine e della legalità, respingono ogni responsabilità". Si tratta di una condanna senza appello, espressa peraltro da tutte le forze politiche. Di questo tratto in un libro sulle Brigate nere appena pubblicato.

4) Pansa sostiene che Bisagno "aveva salvato 1200 uomini della divisione dai rastrellamenti invernali". La questione è piuttosto diversa. Bisagno, al culmine dei rastrellamenti, tra il 19 gennaio e il 10 febbraio 1945, non era neppure in val Trebbia. Si trovò invece presso la brigata Coduri, ultima a est dello schieramento e nel comune di Varese Ligure, in compagnia di Giambattista Canepa (Marzo pseudonimo), per dirimere alcune questioni. Qui, dopo essere stato avvertito da una staffetta dell'arrivo del nemico, con una marcia forzata e dopo aver concesso ai 650 partigiani della brigata una licenza di 45 giorni, evitò lo schieramento avversario invitando chi avesse voluto a seguirlo. Lo fecero in circa 200, rifugiandosi a Sopralacroce. Gli altri si nascosero o tornarono a casa. Più di trenta furono catturati e qualcuno si presentò spontaneamente al comando Brigata nera di Chiavari. Lui, nel dirigersi verso la val Trebbia, cadde e si ferì a una gamba, rimanendo immobilizzato a letto per oltre venti giorni.

5) Pansa avanza l'ipotesi che Bisagno fosse avvelenato o drogato, prima di morire. La tesi fu già sostenuta a suo tempo da Elvezio Massai (Santo pseudonimo), capo del distaccamento Alpino e amico di Bisagno. Il quale sostenne pure, sulla Gazzetta del Lunedì di allora, che Leone Grumberg (Dolo pseudonimo), dirigente dell'Ufficio sanitario della divisione Cichero, avesse praticato iniezioni sul cadavere del capo partigiano per far scomparire le tracce delle sostanze letali. Grumberg pretese, e ottenne, pena il ricorso alla magistratura, una pubblica ritrattazione. Ciò si può ancora leggere dagli scritti del medico depositati presso la Società Economica di Chiavari, nelle Carte Canepa Marzo - l'ombra di Bisagno.

Il resto della sua intervista attiene a considerazioni soggettive di tipo politico, non su fatti. Su due questioni però Pansa ha ragione. Che Bisagno, senza alcun dubbio, sia stato un eroe; e che, almeno in parte, la storia della Resistenza vada riscritta, perché da troppo tempo statica e consegnata alla memoria. Tenendo presente che non è stata un mito né una falsificazione; e di questo non è giusto incolpare unicamente i comunisti, che se talvolta hanno agito per interesse di partito hanno pagato un debito di sangue altissimo, come nessun'altra forza antifascista presente allora. Il mio libro su Bisagno va appunto nella direzione di una nuova rilettura, nell'interesse - naturalmente oggettivo - della storia. Come molti altri di diversi autori apparsi negli ultimi anni. Una piccola, breve aggiunta. Bisagno sostenne, e non una volta sola, davanti ai suoi partigiani, che terminata la guerra non gli sarebbe mai interessata una carriera politica e che non avrebbe preteso favori da nessuno. Si sarebbe ritirato in buon ordine e avrebbe cercato un lavoro, agendo come tutti. La politica rappresentò sempre l'ultimo dei suoi interessi. Inoltre, non ebbe agganci nel Comitato di Liberazione regionale e, pur essendo cattolico, rimase lontano anche dai democristiani, destinati a diventare la prima forza politica del Paese. Un solitario, ascetico e di rigore morale ineccepibile. Chi, e soprattutto perché, avrebbe voluto la sua morte?

Sandro Antonini
© 2018 Internos Edizioni
 

Sandro Antonini è uno studioso dell'età contemporanea, autore di numerose pubblicazioni in campo storico e letterario. Per l'editore Internòs ha pubblicato: Brigata Coduri, nel 2015; Giacomo Borasino: l'arte della fotografia. Parte I, ancora nel 2015; Tigullio giorno e notte, nel 2016; Io, Bisagno. Il partigiano Aldo Gastaldi, nel 2017; in collaborazione con l'ex sindacalista Giuseppino Stevanè I padroni del vapore, sempre nel 2017; e nello stesso anno Giacomo Borasino: l'arte della fotografia. Parte II; nel 2018, Guerra civile. La tragica storia della Brigata nera genovese Silvio Parodi; nel 2019, in collaborazione con Barbara Bernabò, I Magnifici a Sestri Levante. Presenze nobiliari dal XVI al XVIIII secolo: una rilettura della storia e il romanzo La luce sporca.